Pubblicare o no le chat degli uomini accusati dello stupro di gruppo di Palermo?

Non ho certezze assolute. E, come molte persone immagino, mi sono interrogata sulla opportunità o meno di pubblicare le chat degli uomini accusati dello stupro di gruppo ai danni di una ragazza di 19 anni.

Al di là della questione di cultura giuridica (ammissibilità o meno di pubblicare conversazioni private prima del processo), si pone una questione specificamente mediatica e che riguarda, appunto, il ruolo dei media e del giornalismo in generale. Non è la prima volta, non sarà l’ultima che ci vedrà costretti a ragionare su temi del genere. Ieri la trasmissione radiofonica di Radio Rai Tre, Tutta la città ne parla, ha dedicato l’intera puntata alla vicenda dello stupro e nella parte finale nello specifico all’aspetto mediatico, chiedendo un mio intervento. Consiglio di ascoltare tutti i contributi, un esempio serio e valido di come i media dovrebbero trattare e coprire i casi di violenza sulle donne. Alla questione come Valigia Blu abbiamo dedicato più approfondimenti.

Come i media dovrebbero coprire i casi di violenza sulle donne

Esistono linee guida internazionali, come quelle dell’Unicef, ma ce ne sono molte altre redatte da diverse istituzioni, per una copertura responsabile ed etica da parte dei professionisti dell’informazione dei casi di violenza contro le donne e contro i bambini e le bambine. Tra queste c’è la raccomandazione di evitare il sensazionalismo, descrivendo gli atti violenti in dettaglio, in tutti i tipi di contenuto (visivo, audio e scritto). Definire con chiarezza il tipo di violenza subita - se si è trattato di abuso emotivo, psicologico o fisico - è sufficiente.

Sappiamo come devono essere coperti i casi di violenza sulle donne, ma continuiamo a fare gli stessi errori

Purtroppo queste linee guide vengono costantemente e puntualmente disattese dalla maggior parte dei media italiani. Ma proviamo a guardare da vicino il caso specifico di Palermo. La pubblicazione e condivisione delle chat è stata argomentata da giornalisti (che si appellano anche al diritto di cronaca) o persone con una certa influenza nel dibattito pubblico come necessaria per far comprendere la cultura dello stupro che c’è dietro crimini come quello che avrebbero commesso gli uomini responsabili di quella chat.

È un argomento su cui riflettere. E sul quale appunto mi sono interrogata. Sì, è vero: leggere quelle chat è come entrare nella testa di queste persone e inoltrarsi in quel mondo oscuro, terrificante di dinamiche di potere e oggettificazione della donna e del corpo femminile, di assenza totale di empatia, compassione, rispetto, affettività che non solo porta allo stupro, ma che pur nella consapevolezza di aver compiuto qualcosa che loro stessi ammettono che li ha schifati porta a giustificare quella violenza inaudita e spietata in quanto "la carne è carne".

La questione però che dovremmo porci è come quelle chat sono state pubblicate e date in pasto al pubblico (spesso senza gli strumenti più adatti per processare e gestire quel tipo di informazioni) e con quali intenzioni.

Partendo da queste ultime: non crederò mai che i media che hanno pubblicato quelle chat (in maniera irresponsabile, senza contesto, senza ritenere di dover indicare, ad esempio, riferimenti ai servizi di aiuto alle donne che hanno subito violenza) lo abbiano fatto per aiutare la collettività a comprendere queste dinamiche criminali e ad avere maggiore consapevolezza della cultura dello stupro che le mette in moto.

Il sensazionalismo è ormai parte integrante del nostro sistema mediatico. Di fondo il giornalismo italiano, come sistema ripeto, non è in grado di gestire questi casi nel modo responsabile che richiedono, e non lo è stato nemmeno questa volta, sottovalutando il trauma che le sopravvissute a un stupro potrebbero rivivere, il rischio emulazione, il rischio di consolidare stereotipi trascurando il linguaggio e i termini che si usano, il rischio di normalizzare la violenza.

Ho letto quelle chat, è un viaggio nell’orrore che toglie il fiato, una esperienza profondamente traumatica. Non credo che ci aiuterà a farci carico come società di quello che è successo. Anche perché il rischio ulteriore è deresponsabilizzarci collettivamente: "Sono delle bestie", "Non tutti gli uomini sono così" - frase che non vorremo davvero più sentire - "Sono una eccezione, non sono la normalità".

E invece no, quello di cui abbiamo bisogno è una discussione che parta dal presupposto che quello stupro, quella violenza di gruppo, quella cultura che porta a deridere e continuare a picchiare una donna mentre si abusa di lei, è profondamente radicata nella nostra società. Chiara Saraceno su La Repubblica lo sottolinea in modo cristallino:

"L’accavallarsi di femminicidi, stupri o tentati stupri, molestie sessuali più o meno pesanti, ma anche ritardi negli interventi giudiziari, sottovalutazione delle denunce e richieste di aiuto, sentenze di assoluzione con argomentazioni sorprendenti, mostra che siamo di fronte ad un enorme problema culturale. Riguarda trasversalmente tutti i ceti sociali e tutte le istituzioni, in particolare di quelle - polizia, carabinieri e magistratura - che avrebbero il compito non solo di evitare che accada il peggio e di proteggere le vittime, ma anche di ribadire l’inviolabilità del corpo femminile. Ed è bene sottolineare che il problema riguarda tutta la società a più livelli: Saraceno giustamente ricorda gli ultimi casi giudiziari che hanno fatto notizia per l’enormità delle argomentazioni delle sentenze che hanno visto giudici giustificare "il femminicidio con l’attenuante della provocazione da parte della vittima" che con il suo comportamento aveva offeso l’uomo che poi l’avrebbe uccisa. Oppure giustificano i responsabili di violenza accertata, come è avvenuto di recente al tribunale di Roma in un caso di stupro di gruppo, perché gli autori "condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile hanno errato nel ritenere sussistente il consenso".

Come Valigia Blu ci siamo occupati anche di un aspetto rimasto a lungo fuori o ai margini del dibattito pubblico ed è quello che ha a che vedere con la presa di coscienza, da parte degli uomini, di un fenomeno che li riguarda: il ruolo maschile nella società e nelle relazioni con le donne, la visione dell’autonomia e della libertà femminile, la crisi del sistema patriarcale. Al fondamentale lavoro svolto dai centri antiviolenza e dai servizi di protezione e sostegno delle donne nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza è importante affiancare un discorso agli e con gli uomini, quelli che la violenza la compiono, quelli che potrebbero farlo in futuro.

La violenza contro le donne e i centri che lavorano con gli uomini maltrattanti

Sono ore che sui social scorrono commenti, post, parole di violenza estrema contro i presunti responsabili dello stupro di gruppo di Palermo, come conseguenza della pubblicazione e della lettura di quelle chat. No, non è di questo che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di un contesto che ci permetta di chiedere e ottenere protezione per le donne, protezione per le vittime e le sopravvissute, giustizia contro i crimini commessi, rafforzare sì gli strumenti di prevenzione, ma come ricorda Saraceno al termine della sua riflessione quello di cui abbiamo bisogno soprattutto è un gigantesco lavoro culturale diffuso "che aiuti a costruire un modello di maschilità che non dipenda da un malinteso senso di superiorità e possesso nei confronti delle donne... Un lavoro che deve iniziare dai bambini e dai loro educatori/educatrici, rafforzare il processo già iniziato nelle Forze dell’ordine, investire sistematicamente la magistratura. Anche il sistema di comunicazione deve fare la sua parte e le sue auto-critiche".

A conclusione del mio intervento su Radio Rai Tre, ho ricordato la discussione pubblica che anni fa ci impegnò dopo la pubblicazione della foto del bambino siriano di 3 anni, Aylan Kurdi, morto in seguito a un naufragio di migranti sulle spiagge turche. Allora la discussione coinvolse anche i media stranieri - ’If these images don’t change Europe, what will?’, ’Se queste immagini non cambiano l’Europa, cosa potrà farlo?’, titolarono alcune testate - e una delle argomentazioni a sostegno della necessità di pubblicare quelle foto era proprio questa: solo così si poteva sensibilizzare l’opinione pubblica, guardando in faccia l’orrore delle morti in mare, solo così si poteva denunciare l’inefficacia delle politiche europee. In fondo è il ruolo del giornalismo quello di porre la politica davanti alle sue inadempienze, al suo immobilismo, alle sue incapacità rispetto a uno dei più imponenti flussi migratori dei nostri tempi. Era il 2015. Da allora le cose sono solo peggiorate, come scrive Annalisa Camilli su Internazionale, i migranti oggi sono senza soccorsi e senza accoglienza.

Per avere aiuto o anche solo un consiglio chiama il 1522 (il numero è gratuito, anche dai cellulari).

Per chattare con un’operatrice vai direttamente a questo sito. Per conoscere la referente (o il referente) della tua regione visita questa pagina.

Se sei preoccupato/a per come una donna vicino a te è stata trattata dal suo partner o da un altro membro della famiglia, consulta il sito del Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti qui.

(Immagine in anteprima via pupia.tv)

Data ultima modifica: 22 agosto 2023